“Siamo a cavallo” è un progetto di riabilitazione si presenta come un esperimento a favore dei pazienti psichiatrici che afferiscono al Centro di Socializzazione di Sacile “In viaggio”. Ha la finalità generale di promuovere il senso del valore di sé e l’autostima delle persone coinvolte attraverso l’avvicinamento al mondo del cavallo ed attraverso la relazione con l’animale.
Gli obiettivi specifici dell’intervento vengono stabiliti dopo un primo incontro con le persone coinvolte poiché sono “confezionati su misura” per loro e con loro. Essi vengono inoltre condivisi e concordati con l’equipe educativa del centro stesso.
Le attività che svolgiamo e che sono solo l’occasione per l’instaurarsi di una relazione e l’opportunità per fare delle buone esperienze sono essenzialmente la cura e la pulizia dei cavalli, la conduzione alla mano del cavallo grazie all’uso di capezza e longhina, il passeggiare assieme al cavallo senza l’ausilio di capezza e longhina.
Fino ad ora le persone che hanno partecipato al progetto hanno sempre accettato volentieri di essere attive nelle attività proposte, anche quando queste sono state sfidanti. Di fatto, proprio per favorire la loro propositività, le attività che sembravano opportune ed utili sono sempre state inserite all’interno delle attività preferite e desiderate dalle persone stesse.
Un paio di episodi.. (naturalmente i nomi sono inventati e non corrispondono in alcun modo alle persone coinvolte)
Quando nel nostro 4° incontro ho chiesto ad Antonella di passeggiare con il cavallo senza l’uso della longhina e della capezza, ha accettato immediatamente e si è mossa sicura, tanto che il cavallo, percependo la sua tranquillità e sicurezza, l’ha seguita di buon grado. È un’attività molto potente, che si basa sulla fiducia reciproca fra persona ed animale, che richiede presenza, poiché il cavallo segue chi percepisce come “guida” e non qualcuno che percepisce come debole. Quando ad un certo punto il cavallo si è fermato e non l’ha più seguita, Antonella si è interrogata sul perché, non sapeva cosa fare, sembrava in difficoltà, ma non si è scoraggiata. Le ho chiesto cosa avrebbe fatto se invece di un cavallo fosse stata una persona. Mi ha risposto che si sarebbe avvicinata di nuovo e le avrebbe chiesto di seguirla. Le ho chiesto di provare a farlo anche con lui. Ci ha provato immediatamente. Si è avvicinata, ha accarezzato l’animale, lo ha invitato a seguirla con il linguaggio del corpo e parlandogli ed il cavallo ha ripreso la sua passeggiata seguendola. Abbiamo riflettuto assieme poi sul valore del provare a farsi capire, del tentare di fare comunque qualcosa piuttosto che stare fermi, paralizzati, senza sapere che fare.
Lucia ha sempre accettato ogni attività di buon grado ma, nei momenti in cui il cavallo era libero di muoversi fra di noi, il suo corpo, il suo movimento esprimevano timore e paura, in particolare quando il cavallo si avvicinava. I cavalli sono animali socievoli e curiosi: se non avvertono pericolo e percepiscono gli umani attorno a loro sereni e tranquilli, si avvicinano volentieri perché a loro piace stare in compagnia. Essendo curiosi esplorano le persone, tentano di capire che tipo di persone sono e che tipo di relazione possono instaurare con loro. Ci sono gerarchie nei branchi di cavalli, gerarchie mobili, che vengono costantemente ridiscusse, i cavalli hanno simpatie ed antipatie, amicizie e rivalità. Rispettano lo spazio di chi lo fa rispettare ed invadono ed occupano lo spazio di chi è più debole. Quel che accadeva con Lucia era che lei non riusciva a mettere un freno alla curiosità ed all’invadenza dei cavalli. Loro si avvicinavano, la annusavano, la spintonavano con il muso e quel che lei riusciva a fare era solo indietreggiare fisicamente, spostarsi. Abbiamo molto riflettuto su questa dimensione, allargando la nostra considerazione dai cavalli alle persone invadenti e che ci mancano di rispetto ed a come possiamo fare per far sì che il nostro spazio venga rispettato. Lucia non riusciva a trovare una soluzione … un giorno ci siamo soffermate ad osservare il cavallo: per allontanarla anche bonariamente, il cavallo la spingeva con il muso. Allora le ho chiesto cosa potesse fare lei, in alternativa all’allontanare con il muso, ed ha risposto che avrebbe potuto allontanare il cavallo con le mani. Abbiamo provato a farlo tutte le volte che il cavallo si avvicinava troppo scoprendo che funzionava: il cavallo capiva e si allontanava. E’ chiaro che questa è una metafora, ma una metafora molto concreta e viva nell’esperienza. Non credo che questo piccolo esperimento da solo possa cambiare di molto il modo in cui Lucia fa fronte alla presenza invasiva (per lei) delle altre persone, ipotizzo che ancora per un po’ continuerà ad usare la sua strategia di compiacere verbalmente il suo interlocutore e contemporaneamente di assentarsi da ciò che le accade attorno, di rifugiarsi dentro sé stessa. Credo però sia significativo che abbia potuto sperimentare che qualcosa si può fare, che funziona e che non succede nulla di grave (il cavallo non si arrabbia, non ci rifiuta, non scappa, non smette di collaborare).
Questi sono solo piccoli episodi di quel che può accadere, con ognuno di noi, quando permettiamo al cavallo di entrare in relazione con noi, di sfidarci e stimolarci…